La mafia non esiste.
Soldato americano con un pastore siciliano. Una delle più famose foto di Robert Capa. |
Sono
nato nei '50: gli anni della ricostruzione. Dalle macerie della
guerra emergeva in maniera prepotente quella mafia che durante il
ventennio aveva dovuto mantenere un profilo basso per l'ostilità,
spesso di facciata, del regime e si era, comunque, ben inserita nelle
pieghe multiformi del "potere". Adesso, agevolata dallo
sbarco degli Americani che, per ragioni strategiche, si erano a lei
appoggiati, riprendeva il controllo del territorio.
Don Calogero Vizzini, mafioso sindaco di Villalba |
Fu
in quegli anni che alla mafia dei latifondi, a quella delle zolfare,
e a quella dei “giardini”
(gli agrumeti attorno a Palermo) si aggiunse
quella della città con i suoi interessi nell'edilizia, che avrebbe condotto al sacco edilizio di Palermo, e nel traffico internazionale di stupefacenti, grazie anche ai rinnovati e intensissimi rapporti con l'America. Non per niente in quegli anni si affermò un nuovo nome per la mafia, “Cosa nostra”, mutuato dal parallelo fenomeno siculo americano.
(gli agrumeti attorno a Palermo) si aggiunse
quella della città con i suoi interessi nell'edilizia, che avrebbe condotto al sacco edilizio di Palermo, e nel traffico internazionale di stupefacenti, grazie anche ai rinnovati e intensissimi rapporti con l'America. Non per niente in quegli anni si affermò un nuovo nome per la mafia, “Cosa nostra”, mutuato dal parallelo fenomeno siculo americano.
Gela 11 Luglio 1943 |
Erano
gli anni di Michele Navarra, notabile, medico e capo mafioso di
Corleone, della famiglia Greco.
Il
periodo in cui sono nato era quello della disgregazione delle grandi
proprietà latifondistiche e delle lotte dei contadini per la terra.
Sostanzialmente
una lotta tra la mafia, nelle figure dei proprietari e dei loro
gabellotti o campieri, e i contadini. Quanti sindacalisti, che
coraggiosamente aiutavano i contadini e li guidavano nelle lotte per
l'esproprio dei latifondi che con la Legge Gullo si sarebbero
ridistribuiti, furono uccisi dalla mafia! Accursio Miraglia, Epifanio
Li Puma, Calogero Cangelosi, Placido Rizzotto. La strage di
lavoratori a Portella della Ginestra.
Salvatore Giuliano, delinquente |
Chissà
come è nata e si è affermata una certa idea romantica,
assolutamente
falsa, sia della mafia che di Giuliano, che tuttora resiste se il mio
barbiere dice che “la mafia, per come la intendo io, è che uno si
prende
un
territorio e lo protegge”?
Poi,
paragonare quel delinquente al servizio di troppi che fu
Giuliano,
uno
che sparava sui contadini disarmati, a Robin Hood,
che
rubava ai ricchi per dare ai poveri, è la triste dimostrazione
di
come una cosa falsa possa brillare come verità nella testa
di
molti sprovveduti. Ci
sono addirittura Pagine
Fb create
proprio per diffondere questa menzogna. Una
di queste
penose pagine la tiene qualcuno
che “scrive” su un giornale locale e,
curiosamente, sempre contro i
commissari di Cvetrano, contro i
giudici e la magistratura in generale. Giornalista
anti-anti-mafia alla luce del sole.
Vito Ciancimino, mafioso, sindaco di palermo |
Nel
70 cominciai a frequentare l'Università di Palermo. C'era Ciancimino
sindaco e Francesco Vassallo era un costruttore in auge e uno dei
protagonisti del sacco edilizio di Palermo agevolato dalla politica.
Abitavo
proprio in uno dei palazzi costruiti da lui nella zona nuova di Via
Marchese di Villabianca e fu proprio davanti casa mia che fu rapito
il figlio di don Ciccio, Pino Vassallo. Dai corleonesi di Liggio.
Qual
era allora l'atmosfera in cui viveva la “gente”? Cosa pensavano
della mafia le persone comuni, quelle che per secoli si erano
addestrate all'osservazione scrupolosa di tutto pur, al tempo stesso,
non vedendo niente? Ad origliare il minimo bisbiglio senza, però, sentire
niente, sulla scorta di un bagaglio socio-culturale
che
fa della discrezione più assoluta l'elisir di lunga vita:
“la megghiu parola è chidda c'un si dici”; “cu si fa l'affari so' campa cent'anni”; “nenti sacciu, nenti vitti, 'un c'era e ssi c'era durmìa”, “ 'Un nnociri lu cani chi dormi. Ma mancu chiddu vigghianti”. La più totale inazione.
“la megghiu parola è chidda c'un si dici”; “cu si fa l'affari so' campa cent'anni”; “nenti sacciu, nenti vitti, 'un c'era e ssi c'era durmìa”, “ 'Un nnociri lu cani chi dormi. Ma mancu chiddu vigghianti”. La più totale inazione.
Clientelismo politico |
Il clientelismo che ci contraddistingue sul versante socio-politico,
da
noi si intreccia strettamente con il familismo amorale
che
ha sempre caratterizzato le società meridionali e che, secondo
Banfield,
è
all'origine della nostra arretratezza economica e sociale.
Povertà e clientelismo |
Queste
“tipicità” le condividiamo con la mafia che le ha assunte a
fondamento, anche se non esclusivo, della propria azione. Un'assenza,
mai realmente colmata, dello Stato nel meridione ci ha certamente
abituato a rivolgerci al "don" di turno per risolvere i
nostri problemi tanto che, durante la formazione dello stato unitario
e della relativa burocrazia e classe politica, il passaggio culturale
dal favore chiesto a “don Mommu”, che trascorreva le sue
giornate al bar ascoltando
e vagliando le suppliche, al favore chiesto al politico di turno,
e vagliando le suppliche, al favore chiesto al politico di turno,
è stato scorrevolissimo.
Solo da noi i diritti civili sono sempre stati vissuti come favori da ottenere.
Solo da noi i diritti civili sono sempre stati vissuti come favori da ottenere.
Quando
avevo vent'anni si abbassava la voce quando si parlava di mafia,
giusto come faceva mio padre quando mi raccontava di come proprio don
Mommu lo avesse accolto, al suo insediamento come direttore didattico
a Gibellina, sotto la sua “ala protettrice” e con un caffè al
bar, che era il suo “ufficio”, gli avesse apposto “lu puddu”:
“lu diretturi di la scola è cosa nostra”. Il messaggio a quelli
presenti e non presenti era: “s'aviti bisogno di lu diretturi a mia
v'aviti a rivolgiri”.
Continua La mafia non esiste - parte seconda.
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