Poteva, forse, lasciare con più eleganza, ma io l'ho preferita così. Sanguigna, siciliana, con la testa alta. E generosa nel suo darsi , nel suo lavoro.




L'avvocatessa Dalle Rose ha commesso un solo errore, ma gravissimo e, certo, imperdonabile. Avere accettato l'invito trappola di questa sgangherata compagnia, sottovalutando, una persona saggia non l'avrebbe fatto, le difficoltà del compito che si accollava. Non ha capito in che ambiente veniva a cacciarsi. Non ha valutato la difficoltà di agire in una città che l'unica ribellione che può vantare non è contro la mafia che la comanda a bacchetta o contro la primula rossa che tutti questi danni di immagine ha causato alla città, ma, con una manifestazione memorabile che è già passata alla storia, contro lo Stato nelle persone dei commissari che chiedevano collaborazione.

Un bell'ambientino Castelvetrano.
Lasciamo stare il vomitevole voltafaccia degli stellini nei suoi confronti. Dopo averla invitata, dopo averla acclamata come la dea ex macchina, dopo averla coccolata, nominata esperta e, poi, assessore, dopo che hanno lasciato colpevolmente, che lei facesse quell'orrenda Dinner in red sulla sabbia sporca, dopo essersela portata appresso come una sorte di amuleto professionale, dal Prefetto e da questo e quello, adesso, la inondano di "chissà chi crede di essere", "tornatene a Venezia", le rinfacciano, dopo aver insinuato che lei lo facesse per i soldi o che, addirittura, fosse pagata in nero, di sottolineare che lei non ha preso un soldo.
E lasciamo stare che quegli stessi che erano andati a cercarla fino a casa sua, a pregarla di dare il suo contributo al progetto stellato, quegli stessi che dopo la cena in rosso si sono dileguati e l'hanno maleducatamente lasciata sola con il telefono silenzioso, senza mezzi, senza uomini, dopo averla invitata ad andarsene perché il suo era un assessorato non importante e c'era bisogno di un assessore "forte", perché lei non era di Cvetrano e, per di più, neanche del M5S, dopo averla messa alla porta sminuendo per giunta il suo lavoro e il suo peso parlano, adesso, di "abbandono in corsa dalla nave" (Virzì), esprimono solidarietà "granitica" al sindaco (sotto attacco di chi?), dicono, adesso, che, in fondo, il lavoro, pareri, progetti, illustrazione di iniziative che, se si fossero rivolti a un privato professionista avrebbero dovuto sborsare fior di cifre, non era poi questa gran cosa "tanto che niente di quello lei ha fatto è stato o è utilizzato da noi" (Oddo). "Ha voluto persino il cartaceo" delle cose approntate dalla contessa, "e adesso dice che erano inutili".

Lasciamo tutto ciò da parte, per un momento.
Questa signora viene e, oltre, alla penuria di mezzi, a cui è costretta a sopperire portandosi il suo "studio" personale, compresa la stampante e la carta da casa, trova che non c'è nemmeno un tavolino su cui appoggiare le carte e la stampante a terra. La lamentela del riscaldamento che manca è, poi, una cosa che solo noi cvetranesi, che siamo ancora fermi alla bracera e alla borsa dell'acqua calda per povertà oltre che per cultura geografica, possiamo guardare come un capriccio da principessa viziata.
Arriva a Castelvetrano e, subito, sente la brezza malefica del pettegolezzo, dell'ironia sulla sua nobiltà, delle falsità (Viene pagata in nero) e, poi, quando venne nominata assessora (Vedi che lo fa per i soldi?).
Un sindaco che maleducatamente non risponde alle telefonate come, forse, era abituato con i clienti fastidiosi della sua banca.
E fa ridere se non ci fosse da piangere ascoltare quello che il capogruppo dei M5S, Manuzza, dice all'intervistatore Carrera, che lui non ci sta a questo tentativo di far passare il sindaco per "uno che non risponde al telefono, voglio dire la mia, non è assolutamente così (NdR: così come? Che ne sa lui?). Enzo Alfano è una persona aperta e a modo.
E tu ne sarai testimone che quelle volte che non può rispondere immediatamente al telefono è il primo che poi richiama le persone." Vincenzo Carrera: "Vero è!" 

(NdR: ma che minchia c'entra? Siccome ha richiamato Carrera, non è vero che non ha risposto alla contessa?)
Non mi meraviglio della prima intervista in cui la contessa non riusciva a trattenere la sua rabbia e la sua delusione per il modo in cui erano andate le cose. Come potrei non simpatizzare con lei. Avrebbe potuto gestire l'uscita in maniera diversa, meno polemica? Forse. Avrebbe potuto altezzosamente rifiutarsi di commentare e andare avanti con la sua vita. Ma le sarebbe stata rimproverata la sua superbia, la sua algida nobiltà. Difficile lasciarsi con eleganza quando volano gli stracci in casa e, soprattutto, quando il coniuge ti caccia fuori di casa. Forse non è stata il massimo dell'eleganza la sua partenza, ma, in un certo senso è meglio. Ha dimostrato che il sangue caldo non ce l'abbiamo solo noi siciliani. Ha tirato fuori la sua passione, il suo amore per le cose che fa. Ha mostrato che lei non si fa mettere i piedi sulla pancia. Che anche le contesse hanno un orgoglio e una dignità da difendere.

D’altronde perché rimproverare solo a lei la mancanza di eleganza nella baruffa di separazione che dall’altro lato ha fatto registrare cadute di stile molto più disdicevoli. Perché è una contessa? Noi siciliani siamo “generosi e accoglienti” fin quando ci conviene. Poi, tutto quello che abbiamo avuto l’ipocrisia di trattenere esce fuori al naturale.
Capisco anche il suo volere sottolineare che lei non solo non ha, ancora, preso un centesimo per il suo lavoro, ma che per lei è stato un costo. Non lo dice per avidità (figurarsi!), per meschinità, per rinfacciare i soldi spesi, ma per rispondere alle malignità che la vogliono interessata ai soldi. E le sue lamentele sono dirette a delle persone specifiche, non alla città di Castelvetrano. Nemmeno ha omesso di ricordare affettuosamente tutte le altre persone che, invece, le sono state vicine. "Tenetevelo" lo diceva a un assessore, che, si vede, ha imparato a conoscere bene, senza che questo sia un'offesa diretta alla città, quanto piuttosto un modo di compiangere la nostra città guidata da questi che tradiscono e rinnegano.
Sì, avrebbe potuto districarsi con più eleganza, ma io l'ho preferita così. Sanguigna, siciliana, con la testa alta. E generosa nel suo darsi , nel suo lavoro.
Non certo quella generosità di cui parla il capogruppo Manuzza, che, come negli stanchi, abusati e falsi cliché con cui noi siciliani amiamo riassumerci e rappresentarci, anche falsamente, afferma:
"Ho sentito la Chiara Donà, l'ex assessore, sorprendersi (NdR: Falso. Non si è sorpresa, ha apprezzato) che qualcuno gli abbia regalato dell'olio, gli abbia offerto ospitalità! Io, da Cvetranese gli dico che per noi è la normalità. Noi siamo fatti così, abbiamo il cuore aperto e accogliamo le persone e, probabilmente, senza titoli nobiliari, alla fine abbiamo dei comportamenti più nobili di... di qualcuno.”
Che finezza! Che eleganza! Quanta nobiltà! Quanta falsità in queste parole! Noi siciliani abbiamo il cuore aperto, siamo generosi esattamente come qualsiasi altro popolo al mondo, né un punto in più né un punto in meno. Abbiamo altre usanze, altri modi, ma non siamo migliori. Altro che l'ego della avvocatessa Donà Dalle Rose. Mi chiedo perché noi siciliani amiamo raccontarci queste balle ricorrenti. 

Al contrario di quello che andiamo sbandierando in giro, noi siamo un popolo che, abituati come siamo a essere dominati dallo straniero, abbiamo messo a punto dei raffinatissimi strumenti di salvaguardia della nostra vita, fingendoci oltremodo amichevoli con gli stranieri fino a rasentare il servilismo (vedi l'accoglienza riservata alla contessa). Tutti i “don” che si sono succeduti nella nostra storia ci hanno insegnato che anche col nemico bisogna affettare cordialità e amicizia. "Ossa bbenerica!, "Servo suo!", "Sempri a disposizione". Il mafioso, prima di accoltellare qualcuno, non lo invita forse a prendere un caffè? Il mafioso di una volta, simbolicamente, offre il caffè e molto altro a quelli che vuole portare sotto il suo ricatto. Mio padre, nel suo primissimo giorno da direttore della scuola in un paesino dei nostri, la prima cosa in cui s'imbatté fu la "generosità" e l'accoglienza di don Cicciu che lo invitò a prendere il caffè al bar, il luogo più pubblico che esista, coram populo, non perché era generoso e accogliente, ma per ratificare pubblicamente e ufficialmente il debito di gratitudine (non tanto per il caffè quanto per l’accoglienza e la protezione che gli accordava: “Pi qualsiasi cosa, direttu’, mi considerassi a sua completa disposizione!”) che il direttore contraeva con don Ciccio.
Questa è la nostra generosità, questa è la nostra accoglienza, così strutturata culturalmente che è sempre sopra le righe, quasi soffocante, così tanto che ci porta a vantarcene.
Così tanto sopra le righe, esagerata, che spesso suscita il sospetto dei nostri ospiti che si sento frastornati da questo nostro offrirci "disinteressatamente e esageratamente". Sembrano chiedersi sempre perché ci mostriamo così accoglienti, così ostentatamente generosi, cosa si nasconda dietro il nostro atteggiamento. Non c'è mai bontà nell'esagerazione, nell’affettazione. Calcolo, semmai.


Lo straniero è il pericolo da cui difenderci, altro che ospitalità, è il nostro dominatore e padrone che, come sempre, vuole fotterci, e da cui bisogna difendersi con tutte le tattiche e strategie di servilismo che possano servire a fottere lui.

Bella generosità quella di chi è pronto a rinfacciartela!
Quale generosità ha dimostrato Manuzza con questa meschina rivendicazione di superiorità della razza siciliana? Cosa ha voluto dire? Che i veneziani non sono come noi? Che gli stranieri, al contrario di noi, sono meschini, avidi e tirchi? Che nobiltà d'animo dimostra Manuzza! Inarrivabile, proprio!

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