Che alla mafia non interessi la politica è uno scoop epocale, un'enormità che meriterebbe un altro dei libri di Di Girolamo, come minimo.



Ripropongo questo articolo dello scrittore di criminalità e giornalista Giacomo Di Girolamo per l'assoluta opinabilità delle idee espresse. 
Un articolo che non fa onore a uno scrittore di mafia, per il quale non ha ancora chiesto scusa ai suoi lettori, che lo leggono con fiducia e interesse. 

Prima parte dell'articolo di Di Girolamo

Ha dovuto scrivere un lungo articolo a sua discolpa sullo stesso giornale Egidio Morici (solidarietà tra colleghi?), il quale si è spinto fino ad affermare che "Quasi nessuno ha letto quell'editoriale per quello che è." Quasi nessuno. Solo lui e qualche altro privilegiato. Se "quasi nessuno" ha capito, chi ha scritto l'articolo avrà sbagliato qualcosa! O no? In realtà ha sbagliato più di qualcosa. Uno sa che Di Girolamo scrive libri di mafia e si aspetta anche in un articolo una certa profondità di analisi dei fenomeni, si aspetta che a certe affermazioni eclatanti


seconda parte dell'articolo di Di Girolamo


("Alla mafia non interessa la politica" e "La mafia non controlla più i voti") seguano delle spiegazioni, degli studi, delle esemplificazioni che ne rendano chiara la genesi. No! Niente di tutto questo. L'unica cosa detta a supporto della sua seconda affermazione: "gli stessi mafiosi intercettati che dicono al candidato che si presenta da loro: "Guarda che io più di una decina di voti non posso procurarti". Tutto qua? Gli stessi mafiosi? Un'intercettazione in cui tanti mafiosi parlano
all'unisono dicendo la stessa identica cosa? "Non più di dieci voti". Era un riassunto? Sentiamole, allora tutte queste intercettazioni e tutti questi mafiosi che controllano tutti non più di dieci voti. È molto più probabile che da una sola
intercettazione di un mafioso sfigato o in decadenza (pure io potrei, forse, controllare dieci voti) lui si sia ricavata la teoria. Ma è così che si scrive di mafia? Non è serio. L'affermazione più grave e meno confortata da analisi è la prima. Ora, io posso capire che alla mafia, per ora, Castelvetrano interessi poco. Troppo clamore, tutti questi arresti, meglio volare bassi o spostarsi altrove, chessò a Partanna o a Campobello o a Mazara o ancora meglio a Trapani. Posso capire che rinunciando a Castelvetrano la mafia non perda chissà
che cosa o quanto. Un comune vale l'altro, e gli stessi profitti e affari li possono fare altrove. Poi c'è anche il livello regionale dove si giocano partite molto più remunerative. Ma che alla mafia non interessi la politica è uno scoop epocale che rompe una tradizione mafiosa lunga 150 anni, da quando i gabelloti si impadronirono delle terre e del potere politico,  un'enormità che meriterebbe un altro dei libri di Di Girolamo,
come minimo. Non solo è una cosa mai sentita prima, ma mette in discussione le convinzioni di semplici osservatori, cittadini, il lavoro di magistrati che rischiano la vita per sciogliere gli intrecci tra la politica e la mafia.
Vorremmo che ci rassicurasse in un senso o nell'altro. È vero? Non è vero? Lui, che ha il polso della situazione criminale nella nostra provincia, ci spieghi meglio. Così, se è il caso, lo diciamo a Gratteri, che sostiene che in Calabria
la ‘ndrangheta è più che mai inserita nella politica. O lo diciamo alla ‘ndrangheta che la politica non va più di moda in certi ambienti. Così si regola e si modernizza, magari.
Chissà perché la difesa di Morici si è incentrata su un aspetto per me secondario della questione. Quasi tutti quelli che si scagliarono contro Di Girolamo erano pentastellati che si erano ritenuti offesi perché, secondo loro e anche secondo me, li aveva giudicati dei cretini. Che è la pura verità: è vero, cioé, che li ha giudicati dei cretini.
Chiederei a Di Girolamo che cosa c’entra scomodare un’analisi del compianto Giovanni Falcone a proposito della supremazia del cretino, fatta per tutt'altre situazioni, riferita agli avanzamenti di carriera dei magistrati, per dire che i pentastellati al governo sono la dimostrazione di quell'assunto? Come i cavoli a merenda. Ora, che i cinquini abbiano vinto a Cvetrano perché, come dice lui, non avevano avversari, decimati dagli arresti a ridosso delle elezioni, perché hanno cavalcato l’onda nazionale de “gli incapaci al governo!”, mi può trovare d’accordo. Ma se dice questo non può aspettarsi che non ci sia una reazione in stile “orda barbarica” da parte dei fanatici stellini! Invece lui nega anche questo per interposto Egidio. Non voleva dire che i cinquini sono dei cretini. Ma allora Falcone, la supremazia del cretino, la vittoria perché non c’erano avversari? Scrivi un altro articolo. Spiegati, come ci si aspetta faccia uno che della parola fa il suo mestiere e il suo guadagno. Non chiedere al povero collega di turno di infognarsi in una diatriba che solo tu hai suscitato, per spiegare cosa volessi veramente dire tu. Insomma, Di Girolamo, hai smentito l’unica parte ragionevole del tuo articolo di pancia. 
Aspettiamo spiegazioni e approfondimenti per le altre cose ben più gravi che hai detto. 
P.S. Hai scritto un libro contro l’antimafia. Non hai sentito il bisogno di definirla meglio quell’antimafia. Contro l’antimafia istituzionalizzata? Contro l’antimafia di maniera? Contro l’antimafia finta? Contro l’antimafia della mafia? No, contro l’antimafia. L’antimafia di Gratteri? Quella di Di Matteo? Ambiguo. Molto ambiguo. Forse per vendere più copie, perché in un posto di mafiosi un libro contro “L’antimafia” si legge più volentieri?. Aspettiamo, fiduciosi, chiarimenti.

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