Quelli che ... "Siamo qui per fare", "Siamo stati eletti per fare non per parlare". L'afasia dei cinque stelle.






Se fossimo animali saremmo giustificati nel sottovalutare la forza e l’importanza delle parole. Se sapessimo solo "fare" saremmo degli automi, ma anche gli automi funzionano solo in quanto programmati e i programmi sono parole. Invece noi ci distinguiamo dagli altri animali proprio, guarda un po’, per questo dono, dal quale discende tutto un corollario di doti come l’intelligenza, la capacità di pianificare, la capacità di ragionare, di argomentare, di difendere le nostre scelte, di convincere della loro bontà anche gli altri. Tutti i “fatti” discendono dalle parole. Sono le parole che si fanno fatti. Le parole modellano le nostre idee e i nostri sentimenti. Se poi ci ricordiamo che le parole possono essere pietre, allora ne capiamo meglio la concretezza. Ognuno di noi è capace di “fare”. Dalla persona colta all'analfabeta, dall'impiegato al professionista, tutti, non appena svegli cominciamo a fare, senza che questo “fare” necessariamente assuma un aureola di santità, di eccellenza, di particolarmente distintivo rispetto alla parola. Tutti cachiamo, ci facciamo la doccia, facciamo colazione, guidiamo la macchina, persino le belle e le magre figure “facciamo”. Tutti fatti, ma di nessun rilievo particolare. Il fare, in sé e per sé, dunque, non ci dice niente sul valore della cosa fatta. Possiamo fare cose sublimi e grandi cacate. Non basta fare. Bisogna fare delle cose di valore se governiamo. 
Al contrario degli animali che solo possono limitarsi a “fare”, noi possiamo fare con le parole. Con le parole ci misuriamo a scuola e sfido chiunque a dire che lo studio non è un fatto. 
Le parole sono il nostro bagaglio culturale e l'utensile preferito del nostro cervello e dei nostri ragionamenti. 
I libri sono fatti. Le pubblicazioni scientifiche sono fatti. 
Le delibere sono fatti 



e fatte di parole. Il sapere è un fatto. Saremmo niente, ovvero degli animali, se ci mancasse la parola! 
Con questo non voglio sostenere che per essere dei bravi consiglieri occorra essere anche dei grandi oratori. Ma mi chiedo che cosa possa “fare” un consigliere eletto solo in virtù di una nutrita, ma neanche tanto in molti casi, rete di parenti e amici, alcuni prelevati a forza dal letto per aggiungere numeri a una qualità inesistente? Cosa può “fare” un consiglio formato per lo più da persone che non hanno un minimo di conoscenze in generale e ancor meno conoscenze specifiche della macchina amministrativa? Cosa possono fare in un consiglio comunale persone abituate a “fare”, sì, ma cosa?, i piatti e il bucato, o il padre di famiglia? Cosa possono fare se non recepire passivamente gli ordini di scuderia che vengono “dall'alto”, da quelli che la parola sono abituati a usarla? 
Cosa sarebbe, quindi questo tanto decantato “fare”? Andare a sedersi nell'aula consiliare e votare come suggerito da altri che la sanno più lunga?

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